È trascorso un po’ di tempo da quando Ester ha lasciato questo mondo, il 5 febbraio, portando via con sé una parte di me. Si tratta di una storia che risale a tempi lontani, una presenza che per dodici anni è stata costante nella mia vita, alternando momenti di vicinanza a periodi di incomprensibile distacco, nei quali mi sentivo meritare quell’indifferenza.
Con il passare del tempo, sto intraprendendo un cammino di trasformazione, o per meglio dire, sto acquisendo la consapevolezza di un’evoluzione personale. Le etichette mi vengono appiccicate da chi mi circonda, da coloro che mi vedono come un individuo qualunque, un figlio, un fratello, un amico, un amante, o per quel commerciante, piuttosto che uno che a volte può essere di aiuto, mentre solo pochi, contabili sulle dita di una mano, mi vedono per quello che realmente sono: un miserabile, un “poveraccio privo di coscienza, che si vende (e per di più senza successo) a gente che non fa altro che sprecare il mio tempo”. A questo si aggiunge un senso di colpevolezza, o meglio, l’accusa di complicità riguardo al destino che ha colpito il mio cane, e altre negatività che si insinuano nella vita e nei pensieri miei e di coloro che mi circondano. Questa follia mi colpisce profondamente, e ora che momentaneamente risiedo in un appartamento al sesto piano, nemmeno l’intensità delle mie vertigini potrebbe trattenere il turbamento che mi assale e mi spingerebbe a gettarmi.
Riflettevo proprio ieri su come alcune sensazioni si rivelino autentiche, facendomi ritrovare in un ruolo che non ho né cercato né desiderato, eppure vi mi adatto con una certa soddisfazione, sebbene questo ruolo rappresenti un fardello privo di riconoscimenti. Nonostante ciò, rimango quell’impostore ed il ciarlatano che il grillo parlante si sforza di smascherare a tutti i costi, pur mantenendo una percezione esterna di ciò che io dovrei essere. Ma ci rifletto attentamente, poiché in fondo ognuno di noi ha i suoi scheletri nell’armadio, quelle macchie sui muri che, con il trascorrere del tempo, diventano parte integrante della nostra vita, come una strana ma ormai familiare carta da parati. Mi trovo in equilibrio su un filo sottile, con responsabilità verso altre persone che, in questo preciso istante, mi impediscono di arrendermi. L’idea di allontanarmi, di scomparire da questa scena, con il risultato di risparmiare soldi e dolore a molti, si scontra con la realtà di tutto ciò che ho costruito, nonostante le altalenanti fortune e scarsi profitti, di cui però detengo molte chiavi, le password, una grande fetta della responsabilità. Inoltre, causerei un grave danno ai miei collaboratori più stretti, lasciandoli in una situazione di estrema difficoltà. Capisco che, come dice un antico insegnamento buddhista, quando troverò la pace interiore tutto si risolverà, piuttosto che il contrario, ma non posso aspettare di sistemare i problemi e i debiti per potermene andare senza lasciare qualcuno in difficoltà. Non succederebbe mai, perché rincorrerei una chimera, dimenticandomi del paesaggio di quel grande viaggio.
Tutti questi pensieri che mi attraversano la mente, mettono in evidenza quanto in questo momento io non stia per niente bene, quanto il mio morale e il mio stato d’animo siano a livello critico, quanto una parte della mia vita sia rappresentata in un modo degradante, e giustamente mi assumo la responsabilità di tale rappresentazione, essendo io il principale artefice. Un altro aspetto della mia vita, quello legato al lavoro e al ruolo che ricopro, è ciò che mi spinge ad andare avanti. Tuttavia, è come se lavorassi in un ambiente paradisiaco per poi tornare a dormire per strada ogni sera. Questa asimmetria è chiaramente insostenibile. È probabile che io abbia commesso errori su tutta la linea. Credo di conoscere, di essere, di sapere fare, ma in verità, mi rendo conto di non essere nulla.
Sto vivendo un periodo difficile, un momento complicato, e sono in attesa di nuove sfide, nuovi confronti che mi aiutino a cercare e ritrovare all’interno della mia anima quella motivazione e quella sicurezza perdute. Anelo a quella profonda umiltà e a quella straordinaria capacità di essere amore che da sempre perseguo con ardore, perché sono convinto che queste siano le uniche virtù veramente terapeutiche, quelle che hanno il potere di risanarmi e rigenerarmi completamente, che mi sono indispensabili.
Nei momenti di malessere interiore, emerge con nitidezza il desiderio di ritrovare la serenità perduta, sospesa, quel senso di pace interiore che, purtroppo, ora sembra così inafferrabile.
Questo il resoconto di quindici giorni pesanti, nei quali gli attacchi ricevuti hanno evidenziato la debolezza del mio corpo di fronte ai colpi subiti. Probabilmente il processo di rinforzo della mia resistenza è in atto, e come durante un duro allenamento, il muscolo che cresce, appare debole o indolenzito. Me lo auguro con tutto me stesso. Perseguo l’esercizio della verità, e probabilmente, mi distrae l’idea che gli altri possano avere di me, oltre allo specchio di me negli incontri che questo film mi mostra.
E’ un brutto periodo, che sta durando da più tempo del previsto, come ogni anno in questo periodo, l’inverno del mio anno, come l’inverno della vita, mi si ripropone puntuale con un altro meccanismo depressivo, distruttivo, stimolo a fare meglio. E’ un brutto periodo, che mi mostra le mie debolezze, frivolezze, amarezze, le seghe mentali e le convinzioni, gli schemi di comportamento, così come le ferite e le maschere che le celano, le mie limitatezze riguardo alle mie non credute ma presenti ambizioni, i miei sensi di colpa e le paure, tutti lati negativi delle dualità per cui non sto “mostrando l’altra guancia”, e queste dinamiche mi stanno suggerendo di osservarle, osservarmi esternamente nella loro fruizione e nel loro esercizio, cercando di amarle, curarle, e ancora una volta lasciarle morire, con amore.