Questo articolo può essere tranquillamente saltato, e mi rivolgo a coloro che leggendo questo blog pensano che vi sia un filo conduttore o una sorta di riassunto delle puntate precedenti che li porti verso una maggiore consapevolezza di una inesistente lezione di cui io sia mai stato docente incosciente e impostore. Lo stesso vale per coloro che leggono per capire a che punto della storia si sia arrivati. Ebbene ve lo dico in poche parole. Eravamo arrivati al punto in cui Ridge, in Beautiful, rivela a sua moglie che lui non è suo marito, ma in realtà è sua figlia. Sconcertante quanto blasfemo e ironico. Coloro che non capiranno questa battuta sono invitati a lasciare la lettura.
Dove sono ora? In quel limbo in cui il viscido e falso guru di merda incontra la propria anima e si parlano. Il dialogo è confuso ma intenso. Saltano gli altarini. Così come gli schemi ed i presupposti per cui siamo arrivati fin qui. Oggi una persona è arrivata a me manifestando la sua sensazione di svuotamento e rabbia, condita da tanto, tanto ego. Lo stesso mio. Nel suo caso quella confusione l’ha semplicemente salvata dal combinare un guaio, per se e per gli altri. Quindi perfetto. Devo ammettere che numerose volte la vita ci solleva da questa colpa, da questa responsabilità, dandoci meno opzioni di azione, riducendo le nostre possibilità, ed evitando che istintivamente, sebbene l’istinto sia meccanicamente costruito, noi possiamo fare della beffa egoica un ulteriore danno. Autonomamente. Ma il segreto è accorgersene. E già qui entriamo in un discorso davvero complesso e profondo. L’ego è il nemico più amichevole che abbiamo per la conservazione delle nostre idee, artefice dei nostri drammi, e anche dei danni, che siamo capaci di procurarci, cercando colpevoli a destra e a manca.
Domani vado senza croce al golgota. Affronto il mio specchio dell’orgoglio e della coda di paglia, inerme verme del giudizio altrui senza consolidare la capacità di arrecare danno. Tutta roba mia. Tredici soste fece Cristo prima di andare alla croce, ed ho perso il conto ma credo di esserci. Lo stesso Cristo che prese tutti a calci nel sedere per svuotare e liberare il tempio dalla miscredenza, dal commercio e dalla mistificazione di quel luogo. Ma quel luogo era ed è interiore, e nel mio caso il fustino del dixan è stato scambiato per molto meno.

Ho cinquant’anni. Nientedimeno, come dicono in terra partenopea. Un’età in cui la condizione adulta interviene sul fanciullino, inevitabilmente. Ed una parte di maturità acquisita è giudice di ciò che vivo in maniera odierna. Per ogni cosa che vivo e mi succede interviene sempre la bilancia dell’età. In ogni sguardo che poso, in ogni situazione che possa essere identificata in un range antropologico. Arrivano responsabilità che non potevo e nemmeno immaginavo di avere, ed arrivano dritte come un fulmine nel mare. Concepisco vite differenti nelle quali altre difficoltà e dinamiche appaiono prima, o in maniera differente, per cui, per l’esatta legge della risonanza, oggi si trovino ad osservare la mia condizione come un handicap. La mia verità non è superiore alla loro, ne in termini temporali che di quantità. Semplicemente propedeutica e proporzionale alla situazione in oggetto, e nessuno è profeta in patria, tantomeno maestro invisibile di come si fanno le cose altrui. L’ho imparato a suon di botte, forse la migliore educazione possibile, per chi come me si è sempre chiesto se il mondo invisibile esistesse o fosse una mia fantasia, e per come fosse probabile una tal dimensione della sofferenza.
Grazie anche ad alcune letture ed alcuni suggerimenti opportunamente suggeriti, constato che il mio ruolo sia relegato esclusivamente a ciò che mi viene messo a portata. Ed alla mia portata c’è quel che vedo, che affronto, non di più, non ambisco a cambiamenti climatici, energetici, o strutturali globali. Già nel mio “piccolo” posso fare grandi cose, cambiare il mio mondo, proprio quello intorno a me, finche sarà quello di tutti, ma ciò non importa. Ma finché sono relegato nel passato o in uno schema, o peggio, appoggio uno schema esterno a me, sono complice e colpevole dello stesso reato. In questi ultimi anni ho amato ed ho avuto l’opportunità tale per amare, espressa in un modo che sfida la legge di relatività. Un dono immenso, eterno, a me, non sempre alla personalità che porta a spasso l’anima che ho potuto incontrare. Ma è tutto perfetto. Le vite sono fatte di carne, di materia, di sopravvivenza, di schema, e di personalità costruita sulla base di tuto questo precedentemente espresso

Se ti innamori da cosa parti? Evito tutte le risposte, non serve. Ognuno ha le sue, liberamente giuste a seconda del grado evolutivo. E chi sono io per esprimerle in maniera univoca e coerente? Scoprirò un giorno, magari domani pomeriggio, che ho sbagliato tutto, ed il primo desiderio relegato alla sconfitta sarà quello correlato all’interruzione di questa stupida, incosciente, ed egoista, mia vita. Ed invece andrò avanti, spero, nella mia inequivocabile ascesa verso la scoperta di me. Questo è un periodo terribile. Come ogni anno. E questa volta in particolare sono senza energia, senza materia, senza stimolo, apparentemente anche senza scopo. Devo cambiare in una direzione sconosciuta. Qui il dilemma si scinde in due fazioni. Come due chiese. La prima, distruttiva, chiede in quali modi posso farla finita, esattamente come la mancanza di coraggio o di idee che compete alle mie nipoti, specchio delle mie vecchie tossicità, ancora presenti a seconda del diserbante mentale usato. La seconda, complessa, è piena del dubbio che mischia l’insalata delle mie idee, contaminata dalle foglie delle mie percezioni, condita dalle sensazioni per cui non ho voce in capitolo per esprimere una qualsivoglia idea o sensazione di utilità. Che poi, a ben pensarci, l’aspettativa di essere utili a qualcuno, non è forse un veleno che ammala l’ego?

Questo ego. Una ricarica elettrica irreprensibile e autonomamente salvifica, che tiene in vita e ricarica l’auto ibrida del proprio self innering. Self mastering, qui ed ora, momento presente, ricordo di se. Come volete chiamarlo voi? E’ una costante, abbiamo la possibilità di avere la percezione di vivere una modalità cosciente e presente del nostro domani odierno, per citare un cantante famoso. Eppure siamo qui a vivere difendendoci dalle insidie di un semplice spostamento dalla realtà, che può assumere la condizione e la forma di un sogno, un incubo o una realtà da cui vorresti scappare persino negandola, quasi fosse una forma di fuga invisibile anche se coscientemente irreale.
Stasera ho proprio esagerato. La mia mente detta e la mia mano scrive, sebbene la trasformazione dell’alcool in spirito ultimamente sia carente nella sua energia e nella sua funzione. In qualche modo so che devo regolarmi. Devo schermarmi, porto fuori ciò che ho dentro come il cancello di quella gabbia che vede scappare tutte le belve più feroci. Eppure gli animali più equilibrati spesso rimangono dentro la gabbia, sapendo che se non sono pronti, non gli conviene scappare, ma aspettare il momento giusto per volare, piuttosto che correre via senza sapere dove, ben sapendo che la propria resistenza incontrerà l’inesperienza nel momento più duro e doloroso, coincidente spesso con la fine materiale.

Sono qui, ora e adesso, nella speranza che la minfulness mi accolga, ad accertare che ogni torto ricevuto non abbia causa che non sia già interna a me. La verità e soprattutto l’identità delle persone intorno a me è dipendente da me. Ogni cosa che mi capita anche con causa esterna è attirata e creata da me. Le persone intorno a me sono orchestra della mia sinfonia. Ogni evento è concatenato a ciò che devo vedere e affrontare. Ogni dinamica delle persone intorno a me è un chiaro messaggio per la mia auto osservazione. Ciò che io sono è manifesto dello specchio di chi ho intorno e ogni loro asimmetria mi mostra lati di me. In una perfezione assurda e stupefacente. Ogni persona, dalla più vicina alla più fastidiosa con cui abbia avuto modo di entrare in contatto. Ognuno è specchio di me, nella loro vita, nei loro messaggi, nelle nostre intersezioni. Comprese le richieste di aiuto o le semplici condivisioni, quelle per cui rivedo tutta la mia storia, passata, recente e futura, nonché karmica. Le ferite e le maschere pure, gli schemi altrettanto. Tutta roba mia, posso forse inchiodarmi alla croce per tutta l’umanità? Quella di cui sono Dio, quindi immagine e somiglianza?
Bella domanda.

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