Quali e quanti personaggi, ferite e relative maschere, prendono possesso del nostro pilota automatico ogni giorno? Ultimamente ho un’attività cerebrale sinistra attivissima. Attento ad interpretare ogni evento significativo o meno mi si presenti davanti. Forse è proprio il dubbio assalitore a rendermi così determinatamente suscettibile. Stamattina ad esempio una classe A nera è partita uscendo improvvisamente da un parcheggio in senso contrario al mio mentre stavo passando, quasi puntandomi, quasi avvertendomi che se non sono più che attento, qualche imprevisto può sempre colpirmi, anche nel momento in cui meno me lo aspetto. Il mio riflesso, unito al suo potenziale senso di sfida ha evitato la collisione. Era già successo nel 2018, quando la quella camionetta dei vigili del fuoco passava con il rosso e senza sirena distruggendo il furgone con cui esercitavo il mio lavoro fieristico. Lì per lì il messaggio non fu chiaro, ma in seguito capìi che se continuavo in quella direzione, seppur pensando di rispettare le regole del gioco e non invadere altri territori, qualcosa al di fuori del mio controllo si sarebbe manifestato come un muro, durissimo come quello al quale sarei andato a sbattere continuando così. Un muro duro che avrebbe distrutto il veicolo che mi consentiva di viaggiare e lavorare, lasciandomi però illeso, e capace di continuare senza mezzo di trasporto, ma abile a capire che non andavo nella giusta direzione. Quella Classe A è un emblematico simbolo e ricordo di ciò che programmaticamente ma anche sentimentalmente vivevo al tempo.
Ma torniamo alle maschere ed ai personaggi. Ho imparato a leggere la maggior parte delle mie reazioni. Quelle che derivano dal mio bisogno di rimediare al mio passato, quelle che nascono da uno schema che qualcuno o qualcosa mi ha inculcato. Ad esempio una madre apprensiva crescerà un figlio uguale o eccessivamente spensierato. Chi ha vissuto mancanza di affetto crescerà progenie troppo seguita e controllata o ignorata. Chi è stato abbandonato da bambino spesso tenderà a dipendere tossicamente dal proprio partner in età adulta. E spesso questo partner sarà il più figlio di puttana possibile. Un tradimento infantile da parte di un genitore che ti volta le spalle improvvisamente farà sì che il figlio, adulto, possa avere la tendenza al controllo nelle sue relazioni. Queste alcune delle 5/6 maschere studiabili, come cerotti a coprire quelle ferite, che a mio avviso sono molte di più. Poi arriva un giorno in cui decidiamo di togliere quel cerotto, quella maschera, quel comportamento inconscio e distante dalla nostra verità, che a difesa di quel dolore copre la lacerazione che nemmeno sappiamo di avere. A volte. Quella ferita a volte, per l’appunto, deriva da un’esperienza giovanile o infantile che ha forgiato un carattere che si difende dal rischio di rivivere quella dinamica, difficile, pesante, dolorosa. Chiunque se può evitare un dolore lo baratta con qualcosìaltro. Chiunque. E queste sono dinamiche da spalle al muro. Ed in un percorso, in una crescita in cui non si conosce la psicologia per cui succedono determinate cose o dinamiche, è inevitabile che si costruiscano tali figure. La figura del “dipendente” ad esempio, come maschera a difesa della ferita dell’”abbandono”, è un meccanismo di difesa, rispettabile ed utile, che preserva la vita da un dolore antico e nuovamente ripresentato talmente grave che potrebbe creare un personaggio vendicativo, crudele, o peggio, forse, legato al nostro interiore meccanismo di fare giustizia su quella e altre dinamiche che consideriamo “ingiuste”.

Un particolare quanto carismatico leader del lavoro su se stessi racconta di un incontro con un personaggio pubblico famoso e altrettanto importante. Di fronte a se arriva questa persona che si presenta come: piacere, io sono “tal dei tali”, professione psicoterapeuta. Ed il leader risponde con altrettanta stimolante arguzia, – “E con chi ho il piacere di parlare dei due?
Se non fosse per la particolare originalità interiore dell’interlocutore che se ne esce con una domanda anziché una risposta: “E chi è la personalità che avrebbe fatto codesta domanda”?
Ora, al di là della mia capacità di esporre riassuntivamente l’episodio, emblematico, considero come quel personaggio sia potente e capace di prendere potere e assumere una personalità decisionale utile a sopravvivere. Quali e quanti personaggi ci guidano nell’indicazione di ciò che stiamo facendo? Quale personaggio metti in scena quando vai a fare la spesa, o al lavoro, o nel traffico, oppure con il partner, e quali differenze rispetto alla bella copia ci sono? L’ego, capace di mantenerci in sanità ed in vita, costruisce impalcature utili alla sopravvivenza piuttosto che alla scoperta di ciò che siamo veramente. il personaggio che recita quella parte ci serve fino ad un certo punto. Eppure è l’attore leader del film che pensiamo si stia svolgendo. Il film che noi abbiamo messo in scena creando la nostra vita. Quali personaggi creiamo, quali e quanti personaggi riconosciamo nella nostra autodifesa, quali nel nostro computo di vita, quali nella nostra autodifesa, quali a nascondere i nostri punti deboli mostrandoci così diversi da ciò che naturalmente siamo?

Abbiamo a disposizione molte dinamiche per imparare chi siamo e come siamo lontani da quel “chi”. Ferite, maschere e personaggi sono stampelle che ci coadiuvano la difficoltà a stare in piedi nei momenti in cui zoppichiamo. Eppure prima o poi bisogna camminare soli. Soli e accompagnati. Dal nostro sé, quello che difficilmente riusciamo a vedere, dietro alle frasche delle nostre costruzioni e delle nostre difese, quelle per cui siamo capaci di allontanare i nostri amori perché l’ego, questo sconosciuto ma consolidato, è colpito nel vivo, da ciò che sappiano ci fa male. E perché ci fa male? Perché è lo specchio del nostro essere. Quella persona che la nostra anima sceglie per mostrarci l’”altro noi”, quella visione allo specchio della nostra figura, in cui quell’immagine identica a noi si muove esattamente come noi, eppure la nostra destra è la sua sinistra.

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