Rivedo dopo poche ore il mio recente viaggio a Roma, sempre per lavoro, sebbene questa volta ci sono stati più eventi che mi hanno arricchito, cambiato, cullato, scosso, amato, percosso. Rivedo nelle fotografie che ho scattato in questi 16 giorni quante e quali esperienze mi sia stato concesso di fruire.
Rivedo quella natura selvaggia che si affaccia invadendo la carreggiata, nel pino marittimo maestoso, nei “cieli immensi”, tipici di quella piana del sole che mi ha ospitato. L’aria di un mare che questa volta non ho rivisto da vicino mi ha comunque apportato iodio e serenità. Anche il fantasma bambina con i suoi scherzi infantili mi ha fatto capire che anche quando sei solo, quando pensi che nessuno ti veda, allora devi agire come se la persona più importante e severa ti osservasse. Quella terra carica di storia, che Flaminio decise di congiungere alla mia città, mi ha trasmesso anche per quest’anno un carico di energia e di esperienza notevoli. Anche da un punto di vista lavorativo, il consolidamento del mio atteggiamento nei confronti del mio ruolo mi ha reso tutto più facile. Anche quando mi sono sentito dire frasi che non credo di meritare, suscitando in me imbarazzo misto a stupore. Anche quando ho iniziato a sentire quell’energia così potente e così mista, di tutto, di tutto e del suo opposto, della Roma che mi piace. E capisci allora perché, perché Roma è Roma. Lo capisci anche in quel momento, non per forza davanti al monumento, lo senti dall’energia, dal crogiuolo di razze, dalla varietà, dalle strade, dalle buche, dal cielo e dalla natura, dal fiume e dal mare. E ti senti parte di quello, davvero, più che in ogni altra città italiana o del mondo così diversa o lontana dalla tua.
Anche quando durante il viaggio della speranza, due ore e mezza per percorrere da Fiumicino 65 km in direzione Guidonia, città di mia nonna, dove ho sorpreso le sue sorelle, nel tragitto mi sono visto sbucare un Colosseo che era proprio lì, dietro quella curva, a sorprendermi, e tranquillizzarmi per quel che stavo facendo. Quel viaggio che quasi 34 anni fa ho percorso l’ultima mia volta con mia nonna, e ricordo bene la telecronaca della finale dei mondiali di calcio, al nostro ritorno, e che quest’anno ho portato con me accorgendomene al mio ritorno a Fregene, dove alloggiavo. Un ritorno diverso da quell’andata estremamente trafficata e piovosa, scorrevole e piacevole, come il karma di Chi ha meritato. Magari seriamente. Senza paura, brama o sensi di colpa. Un ritorno di 30 minuti in cui volavo verso quel tramonto sereno, come dopo aver riportato qualcosa a qualcuno che poteva aver dimenticato o perso.
Un viaggio diverso, quello ai Castelli Romani, per festeggiare la casa nuova di amici, speciali, nel giorno del compleanno di chi mancava da qualche infinito mese, e che con estrema paraculaggine, riusciva a tenere insieme un gruppo che altrimenti non era capace di offrire Amore in cambio di nulla. Proprio lui, quell’angelo fiodenamignotta, che tra tutti mostrava la sua vera identità ad ognuno, con estrema franchezza, che piacesse o meno. Tra una presa di posizione e l’altra, avvocatura delle cause impossibili o perse, vinceva nel merito di avvicinare anime che oggi prendono strade diverse, a volte autostrade per l’egoismo e l’identificazione, a volte raccordi per il cuore e la gentilezza, nell’esempio di chi aveva qualcosa per tutti, mai piegandosi a novanta, quello mai. A volte in posizioni rigide, che però come strade in discesa portavano a fragorose risate, sfottò e soprattutto, il fratello maggiore che non ho mai avuto, e che proprio così avrei desiderato. Quella vista serena fino al mar tirreno che tanto mi ha riportato e ricordato che in quella cena lui non mancava, era con noi. E mi dispiace, davvero tanto, per gli altri. Ma d’altronde se Cristo ha preso a calci mercanti nel tempio, un motivo ci deve essere.
Ci sarebbe tanto altro ma, proprio lui, me lo direbbe, Aho!, E mo’ hai rotto il cazzo!