“Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla”
Martin Luther King espresse circa 60 anni fa in occasione della sua onorificenza a premio nobel, al di là della vena politica della sua assegnazione, un tema talmente importante quanto profondo su questa parola così scontata, molto male utilizzata e poco correttamente utilizzata e dispiegata. Già. Dispiegare, le ali, per il volo, quindi svolgere nella sua estensione un qualcosa che possa servire ad un alto scopo.
Sicuramente ne ho già scritto e ognuno conosce la costruzione sintattica della parola, respons-abilità, cioè abile risposta allo stimolo ricevuto.
Oggi ho apprezzato un meraviglioso film che non avevo mai visto ne conoscevo. Revolver. La figura di un killer professionista intreccia e intercetta le sorti di un cupo destino nelle sue mani, incaricandosi di prendere la responsabilità sul cambiarne appunto, l’esito, la sorte. O fortuna, che dir si voglia, o che la sua traduzione letterale ne abbia cura o fede in piano. Ma la Fortuna è una dea bendata, e giustamente, o evidentemente alquanto disinteressata a ciò che si vede, a ciò che le verrebbe mostrato, cioè a tutto quello che noi giudichiamo meritevole di aiuto. Giudichiamo con gli occhi senza percepire, ma questa è altra storia, grande narrativa della vita. E allora se devo essere obiettivo, la fortuna non agisce coscientemente, ma casualmente, ed il caso, notoriamente, non esiste. La rappresentazione di questa dea bendata è umana, e sicuramente un umano ha avuto la geniale idea di risolvere l’enigma di proporci la gratitudine universale, anziché la rincorsa ad una chimera cieca e disinteressata, quindi probabilmente inesistente. Emblematico il film che ho visto oggi, io sono te e tu sei me, recita il mantra di preparazione al mio prossimo esame residenziale, eppure i personaggi chiave del film scambiano i propri sé con voci che chiedono vita e relativa soggettività in un ambito decisionale mentale in cui siamo identificati con l’anima che prende a noleggio questa mente e questo corpo. Non alcuni, o nessuno dei suoi contrari.
La responsabilità quindi dove sta? La capacità di agire in condizioni non aspettate, cioè quelle in cui la mente non può programmare la risposta ma essa avviene e diviene attraverso l’istinto, non quello animale della sopravvivenza, del riparo o della riproduzione, ma quello del sentire la risposta arrivare in maniera univoca, come un suggerimento che non ha parole, eppure nella piena sicurezza che sia quello, quello giusto. Non spiegabile, ma solido, senza descrizione sintattica, ma chiaro come il sole, chiaro come il dio che ci illumina, ci nutre, alimenta la vita o la carbonizza. A scelta nostra, non sua, a seconda di come lo osserviamo. Posso osservare una scena pericolosa al riparo oppure documentarla al suo interno, rischiando io stesso il medesimo pericolo. E la responsabilità tale per quella che conosciamo in questo ambito? Che simbolismo ha? L’abilità di quel pilota nel giocare al volante con la vita di altre persone, ha una desinenza nel loro destino? Per ogni capacità che ho consolidato, quanta responsabilità ho nel gestirla, mostrarla o nasconderla? Ed in quest’ultimo caso forse la responsabilità trova la definizione più pura.