Oramai credo lo sappiano tutti, ma capiterà che qualcuno mi chiederà: e dov’è Ester? E la risposta migliore possibile finora giunta è: non è più qui, non posso sapere se è ritornata a Casa, o per vari Ponti, di cui l’arcobaleno non potrebbe essere sufficiente, ma di certo è in un posto migliore di questo. La pluripatologia che la affliggeva non le consentiva più da circa una settimana di alzarsi e camminare da sola. 27 chilogrammi non pesano niente con l’adrenalina di portare lo specchio della tua fede su e giu per tre piani di scale, o svegliarsi a primo lamento in una serie di notti insonni. Nemmeno intervenire con celerità per riportare l’igiene dopo i bisogni primari che non poteva più effettuare autonomamente. Nessun peso, nessun problema, nessuna pena. Solo quell’abbaio, quell’abbaiare lamentandosi e piangendo, richiamando e sgridandomi, quasi a dirmi, “aiutami!”, “perché non fai qualcosa per tutto questo?”, o ancora, “cosa mi sta succedendo?”. Già, perché un’anima nobile come lei, si rifiutava persino di difendersi con un morso, e quando arrivava al limite dell’abbaio per allontanare un cane minaccioso, emetteva questo suono, proprio in quel modo, guardandomi. Poi i lamenti e gli abbai sono aumentati di pari passo con le crisi respiratorie e di dolore, probabilmente, dal momento che non ricordo di averla sentita lamentarsi, mai. Anche in dignità vinceva il primo premio assoluto. Cisti ovarica con metastasi uterine, tumore ossidato grazie al veterinario scienziato che lei adorava, ma l’intervento tardivo di una insufficienza renale può aver dato il colpo di grazia ad una situazione preannunciata. Le corse contro il tempo per provare ad alleviare la situazione, corse appunto, sperando che, almeno vista l’età di 12 anni, si potesse alleviare o guarire una situazione acuta a favore di una vecchiaia più serena. Le cure e i rimedi più all’avanguardia, le attenzioni più presenti, ma non doveva essere così. Anche quest’anno il giorno della candelora, il 2 febbraio, mi preannuncia una notizia importante, che sottende altro dolore. Si inizia seriamente a non dormire più, per fronteggiare ogni situazione rispetto al paziente che non può più bere, mangiare, o espletare bisogni fisiologici in autonomia.

Poi c’è il mio compleanno, un giorno che ogni anno salterei volentieri, data la curiosa combinazione di problemi e momenti negativi che si verificano annualmente nel periodo. Già il giorno parte ben presto con i carabinieri che mi avvertono alle 5 del mattino che qualcuno voleva sfondare il vetro dell’ingresso del mio negozio, pur senza riuscirci, devo passare con loro il tempo fino alle 9 del mattino. Niente di che, solo un vetro d’ingresso rotto, niente in confronto a quel dolore. Quel giorno, rispetto al precedente, drastico e doloroso, lei mi fa un regalo, e cioè resiste, buona, distesa, senza agitarsi con il respiro, senza andare in crisi, mentre durante il giorno arrivano amici con la precedente intenzione di festeggiarmi, e coccolare con la loro presenza anche lei. Una giornata a tratti anche serena e divertente, sebbene sono morto dentro, per l’ingiustizia agli occhi ed al cuore che devo, voglio, e posso fronteggiare rispetto a quella creatura meravigliosa. La giornata fila fino al momento in cui ognuno torna a casa propria e rimaniamo io e lei, soli, e mentre riporto la zona cucina a zona abitabile, comincio a guardare l’orario. E penso, è quasi mezzanotte, stai a vedere che fra poco finisce la magia del suo regalo di compleanno… Ed infatti la notte ad intervalli di 45 minuti mi porta ad alzarmi come una molla per consolarla, girarla, pulirla, dissetarla, piangere, soffrire, amare. Fino alla decisione unanime e inevitabile.

Quel respiro che si interrompe a seguito di quell’iniezione al cuore è un’immagine che non dimenticherò mai, mentre le tenevo con entrambe le mie mani le sue deliziose e morbide mani. E lì scoppio nel pentimento, non tanto dell’eutanasia, ma di come per colpa mia si sia arrivati a vederla soffrire così. Non so se un capriccio, ego, egoismo, fragilità, dignità, spalle al muro, un gesto d’amore o di rispetto. Fatto sta che per tre giorni interi mi sento colpevole di omicidio, nonostante sapessi di non potere fare diversamente. Ma si poteva fare diversamente? Quando lei mi guardava abbaiando quasi piangendo, sembrava dirmi: io non voglio dovermi difendere, io non voglio dover arrivare a questo, non ce la faccio, aiutami! In quello forse siamo uguali. Ho scelto lei, l’ho cercata, l’ho voluta, l’ho trovata, la sono andata a prendere rapendola dalla sua cucciolata. Le ho fatto vivere gioie e dolori della mia vita, la maggior parte errori miei. Le ho fatto girare l’italia, le ho fatto fare il bagno in laghi e mari da nord a sud, le ho fatto conoscere città, fiere, persone, ristoranti, pub, mi ha sempre seguito, anche quando non vivevo più con lei in casa, ma la vedevo quasi ogni giorno per il lavoro, o ininterrottamente per le mie trasferte fieristiche. Ci sono persone che si presentavano allo stand in qualche fiera, mai viste o conosciute, che esordivano dicendo: c’è Ester? Ed io girandomi verso di lei le dicevo: Ester, hai visite! Poi se ne andavano senza salutare, ma non senza aversela coccolata a dovere. Ricordo quella fiera in cui le avevo stampato un foglio appoggiandolo sul suo stomaco, lei esausta e stesa, con su scritto: coccole 3€, selfie 5€… Ricordava la stanza precedente anche se ad un piano diverso di un hotel in cui era stata anni precedenti. Capiva quando era il momento di fare o di non fare. Sopportava intere giornate al festival dell’oriente in cui migliaia di persone in un giorno le passavano intorno o addosso, e se ne stava buona, fino al momento in cui con uno sguardo dovevo capire che non poteva più tenerla, e se non mi sbrigavo a muovermi lei partiva, come quella volta a Napoli che non ci siamo accorti, dalla confusione che c’era, che doveva uscire, e lei tranquilla è uscita dal padiglione fino al giardinetto esterno, pieno di ragazzini che festeggiavano Holy festival, tutti pieni di colore, e quando mi hanno avvertito che lei era fuori corro come un disperato a trovarla distesa in mezzo a 5/6 ragazzine che la accarezzavano, ma ormai lei era già tutta rosa e fucsia… Ricordo come si metteva davanti alla porta dove quel gestore di un pub di bari teneva i taralli, aspettando la sua meritata dose. Così come da brava paracula lo faceva in pub e ristoranti, fermandosi sulla soglia di una cucina o di un bancone bar, con quella faccia che voleva dire una cosa soltanto. Restava buona in fiera tutto il giorno e poi la sera quando si andava al ristorante pretendeva che le si desse qualcosa dalla tavola, e per il suo bene si tendeva a non accontentarla; a quel punto lei sapeva benissimo come farmela pagare: individuava l’unica persona che poteva avere paura di un cane e gli si metteva a fianco, guardandomi con aria di sfida. Oppure andava a presentarsi ad ogni tavolo, spesso solo per ricevere le sue coccole, caratteristica obbligatoria, per lei, della sua natura. A volte bisognava stare attenti a cosa gli dava la gente dalla tavola. Ogni volta all’arrivo si scendeva dal furgone in una città, un locale, una fiera, un qualunque posto in cui si era già stati, anche anni prima, e lei scodinzolando felice partiva per la direzione che già conosceva, o dalle persone che ricordava che l’amavano. In un albergo di 7 piani, ritorniamo a distanza di anni e ci assegnano una stanza ad un piano differente, ma lei puntava a quella in cui topologicamente ricordava di essere già stata.

Esempi che potrebbero continuare all’infinito, per i circa duecentomila km che ha percorso con noi, dovunque, anche stando male, da nord a sud, da un mezzo all’altro, da un hotel ad un appartamento in cui soleva scegliersi il posto con la schiena contro la porta. Oppure in fiera, nel corridoio di fronte allo stand, dove a volte passavano anche migliaia di persone in mezz’ora, si piazzava richiamata da uno sguardo o un sorriso e lì distesa a farsi fare le coccole, per poi addormentarsi proprio lì, in mezzo al passaggio. Ogni tanto qualcuno, sai, quelli che escono di casa con la missione di salvare un cane che si è perso, prendeva per il collare per portarla chissà dove al sicuro, doveva cimentarsi con il tentativo di spostare una statua saldata al terreno… Esempi che vivono nelle migliaia di fotografie e video che le ho fatto, e che sono ancora troppo pochi, forse in relazione a quanto ogni immagine scattata o interiore possa rievocare in me di quel periodo, quell’esperienza, quella dinamica in particolare, di cui lei è stata sempre testimone. Esempi che se narrati riempirebbero senza completare qualsiasi intera libreria, qualsiasi archivio, qualsiasi spazio finito. Esempi che calzano a pennello nell’affresco di ogni suo istante, ogni suo sguardo, ogni suo respiro, sbuffo, quei rarissimi abbai verso di noi che volevano sempre dire urgenza, quei momenti di tristezza che le si leggevano chiaramente. Quegli anni di depressione che ha vissuto quando ha perso la sua compagna, sorellina adottiva e coetanea, Bella, un Labrador nero combinaguai, dal carattere spumeggiante. Quegli anni sono stati duri, lei era quasi il cane del cane, per citare dharma e greg, ed è dovuta diventare improvvisamente grande, adulta, saggia, all’età di quattro anni. Le discussioni anche molto accese di cui è stata testimone che ha sopportato in silenzio, forse tremando dalla paura, e aspettando, aspettando che la bufera potesse passare. Questa una costante degli amici pelosi, aspettare. Aspettare in affidamento, duplice insegnamento che i cani, cioè lo specchio della fede, elargiscono gratuitamente a noi terribili umani.

Ma c’è qualcosa che questo angelo ha dimostrato ininterrottamente, e non sono qui a rimpiangerlo rendendomene conto solo ora, l’ho sempre saputo. La sua presenza, la sua calma, la sua gioia spontanea, una saggezza tipica del Maestro, che parla poco eppure sa tutto. Telepatia energetica, Amore Universale. Il suo essere specchio meraviglioso nell’amare indistintamente ogni essere umano, con quell’innocenza furiosa e curiosa nell’avvicinarsi ad ognuno appoggiandosi per scambiare amore, anche sedendosi o stendendosi sul piede di qualcuno impedendogli di allontanarsi. Quella sua particolare e spontanea delicatezza verso una persona ammalata, o portatrice di handicap, o il suo immobilizzarsi distesa alla mercé delle mani curiose dei bambini piccoli. Una forma di amore che potevi osservare in infinite sfumature ammirando ogni suo gesto, anche quando immobile. La dignità di non essersi mai lamentata, mai, gli slanci affettivi verso chi riconosceva anche da lontano tramite l’olfatto o semplicemente dalla voce, la sua forza di volontà, la sua curiosità, il suo giocare senza affanno o morbosità, la sua grande gelosia verso le persone che amava, il suo essere così adulta e bambina, la mia bambina. Questo atteggiamento verso il genere umano aveva uno specchio quasi inverso verso i cani, o i gatti, che non erano componenti della sua famiglia. Difatti dopo una iniziale curiosità, che probabilmente si toglieva subito, tendeva a rimanere diffidente e non li voleva troppo intorno. In situazioni a lei non congeniali, tendeva sempre ad andarsene, dopo un paio di annusate, capitava anche di ricevere una ringhiata da un altro cane, e prima di andarsene lo guardava quasi chiedendosi che problema avesse. Questo angelo che ora è su un altro piano, è sia qui che altrove, è in cielo ed in me, non posso interagire, ma sento che quell’energia è dentro di me. E solo sintonizzandomi a dovere posso sentirla ed utilizzarla, per ringraziarla dell’esempio che è, che è stata, e dell’immenso dono che ho ricevuto. E’ davvero un immenso dono, ho avuto altri meravigliosi cani con me, adoro tanti altri cani che accompagnano persone che conosco o a cui voglio bene, sono tutti sicuramente speciali, ma capisco e riconosco la caratura di un Angelo, come Michael nel film omonimo con John Travolta, che dopo aver fatto il miracolo, deve necessariamente andarsene. E quel miracolo va visto, per tenere in vita quell’energia che asciuga le lacrime del dolore e della mancanza, di quel sentirsi così soli ora, sebbene la sua presenza era talmente certa e rassicurante che spesso ci si dimenticava di lei. Un balzo nel cuore ogni volta. Mi dispiace per il dolore che sto provando, che le persone che amo stanno provando, che tutte le persone che l’hanno conosciuta stanno provando, in tutta Italia, e leggo il dolore nelle loro lacrime e condoglianze, mi dispiace che non sia più fisicamente con me. Il 5 febbraio si è spento un sogno. Sto lavorando affinché il mio risveglio sia un’evoluzione tale per cui io le possa essere grato, nel giusto modo, cogliendo il messaggio appieno, apprendendo al meglio ciò che mi lascia dentro, l’insegnamento, quell’esercizio di amore e di presenza che salva la vita, dalla crudeltà della vita stessa.

Che Tu sia Benedetta Ester, angelo mio

Questi appunti sull’angelo che fisicamente mi ha lasciato potrebbero continuare all’infinito, forse con la quantità di un libro o di un diario infinito, ma non avrebbero mai finitezza, quanto l’amore ricevuto, osservato, donato, e spero, imparato.

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