Attiriamo ciò che siamo, attiriamo ciò che ci serve. L’articolo sarebbe già concluso, completo, esauriente.
A volte la ricerca del perché non fa che allungare il brodo e prolungare il dolore. Perché un dolore del genere? A cosa mi serve? Perché mi fa così male, perché mi ha colto così di sopresa, perché ho lo stomaco attorcigliato? Non ci sono immediate risposte. A volte ci sono e non vogliamo sentirle, perché non ci piacciono, anche se quando proprio non ti arriva niente non è preferibile.
Ho lo stomaco ribaltato e attorcigliato, anziché essere causa nella mia vita, ne divento effetto. Ne sono consapevole. E con questo dolore devo farci per forza qualcosa. Non riesco nemmeno a percepire uno spostamento dal momento presente. Difatti a volte ti capita di ricevere un colpo. Un colpo che non aspettavi di ricevere, un colpo che probabilmente hai già ricevuto, e che ti ha fortificato, ma che oggi ti stende. E le cause esterne non c’entrano nulla. Sono io che non sono ben piantato, altrimenti non sarei steso dalla botta ricevuta.
Ciò che fai, ciò che sei, tutto quello avrai.
Di certo so che per mia natura posso trasformare. E per attitudine oppure vocazione (non lo saprò mai) attiro dolore e sofferenza. Aiuto a trasformarla. E’ il mio compito, forse quello attuale, verso le persone. Il mio lavoro ne è un esempio. Esattamene come per i miei studi giovanili sull’informatica, ho sempre aiutato a riparare, configurare o risolvere problematiche legate ai computer. Computer di cui sono tutt’ora pieno e circondatro, e che a me si guastavano in maniere impossibili da risolvere. Il calzolaio con le scarpe rotte, l’idraulico che non capisce un tubo, il paradosso del barbiere negli studi logici… Destino, che solo una persona può cambiare.
Se crei dolore avrai dolore. Questo è sacrosanto, e la successione degli eventi non è quasi mai immediata né biunivoca. Quel karma è tranquillamente seduto in riva al fiume. Specialmente se fai un lavoro reale su te stesso, stai tranquillo che non te ne verrà risparmiata una, come è giusto che sia. E quel dolore mi deve essere necessario. Come un’avvisaglia, che ha luogo nella sincronia dei segni ricevuti, mi ritrovo più consapevole di essere un tramite per le persone. A volte Caronte a volte Virgilio, a volte Dante, che può non curarsi di loro, guardando e passando. Accettare il proprio ruolo è basilare nei giochi di squadra, allenarsi e dare il massimo e non uscire dal ruolo, pena la sconfitta, in questo caso la perdita di tutto il gruppo, di tutte le parti di te, anche quelle che hai nell’altro. E’ quindi doveroso accettare quel ruolo, che a volte è meraviglioso, sorprendente per ciò che puoi ottenere interiormente, accettare la sua durata, che a volte, come la vita stessa, ha un termine. E il lasciare andare è difficile, negandolo o non accettandolo sopravviene la malattia dell’attaccamento che intacca il primo chakra, la radice, quello che tra le altre cose stabilisce e ottimizza la tua presa a terra, il tuo equilibrio, quello per cui qualunque colpo ti fa male, anche tantissimo, ma non ti fa cadere a terra. E stavolta rialzarsi sarà dura.