Un settembre/ottobre così plumbeo e piovoso, nonché noioso non si vedeva da tanto. Eppure tra le tante cazzate istituzionalizzate diffuse, doveva essere l’estate più calda e più lunga degli ultimi x anni. Sempre il contrario, ormai le poche notizie che filtrano alle mie orecchie ho imparato a leggerle al contrario. Ma giustamente le persone ragionano al contrario. Riflettevo oggi sul fatto che molti individui non sanno cosa vogliono, ma sanno bene cosa “non vogliono”, di conseguenza non sanno chi sono e cosa stanno facendo. Semplicemente seguono una corrente. Come la riflessione sibaldiana per cui se chiedi a qualcuno cosa gli piace, ti risponderà che apprezza ciò che universalmente “piace”, o piace alle masse seguire, riferito ad uno stereotipo trasmesso e diffuso, come ad esempio il concetto di normalità per un adulto come me o per un bambino, diametralmente diverso. E così via, passando per il concetto di tempo, per cui la famosa filastrocca dei 30 giorni a novembre è un costrutto tipicizzato per scombinare il naturale calendario lunare delle 13 lune annuali, le donne con i cicli mestruali ne sanno qualcosa, sembra che serva ad allontanare l’essere umano dalla propria ciclicità, sebbene questi duemilaventiquattro anni siano ormai talmente assodati dal contenere ma non proferire ormai una propria lecita ma classica domanda. Perché ogni quattro anni bisogna aggiungere un giorno? Perché il tempo, universalmente misurato da diversi dispositivi, può scorrere diversamente, a seconda del nostro stato d’animo o di quello che stiamo facendo? Nel film Interstellar per esempio, si può apprezzare la rappresentazione del paradosso legato al diverso scorrere del tempo. Inevitabilmente noi che, “ammazziamo” il tempo, percepiamo come il tempo “voli” in momenti di gioia e benessere, mentre sia quasi immobile nella sofferenza. Eppure quel tempo è medesimo, almeno secondo gli strumenti di misurazione. Eppure. Eppure ognuno di noi ha percepito questa dissonanza.
Si dice che una farfalla viva un solo giorno. Eppure quel giorno per lei ha la durata relativa di 40 anni. Sì torna alla considerazione che il tempo universale scorre diversamente a seconda del nostro umore. Un’altra riflessione mi ha colpito, per cui gli aborigeni pensavano che l’uomo bianco, civilizzato, avesse un problema neurologico grave, perché non conosceva e non sperimentava la telepatia. Esattamente come il gatto che conosce la tua frequenza sente telepaticamente ciò che stai pensando nei suoi confronti, ma tu che sei allineato spesso e volentieri su un’altra, non puoi sincronizzarti con lui, gli aborigeni avevano la risposta alla mancanza dell’uomo bianco. Esso non possiede e non esercita la funzione della telepatia, perché a dispetto loro, e del gatto quindi, l’uomo bianco ha le “tasche”, un orpello utile a nascondere qualcosa, e questo è emblematico e evidente. L’aborigeno come il gatto affronta la vita “nudo”, senza abito, senza maschere, libero, puro.
Le maschere e le costruzioni, appunto, che creano una sanità mentale apparentemente libera ma vincolata dal giudizio che abbiamo nei nostri confronti. Nei nostri e negli altrui. Un continuo rapportarci con qualcosa, che ci mette in riga ed in colonna secondo canoni che ci hanno fornito, senza avere nemmeno considerato di ponderare la portata di questi canoni, li abbiamo incamerati ed utilizzati, come fosse l’ultimo aggiornamento sulla regola del fuorigioco. Mente che influenza la mente.
Eppure la mente divide, il sentire unisce, questo un proverbio maya molto importante, molto profondo, molto vero.

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