Difficile concepire qualcosa di univoco e naturalmente spirituale per tutti. Specie in questo momento in cui, tra maestri ascesi, maestri di sci, reconnector, costellatori, e coach vari vi è un’offerta credo superiore alla domanda. Tra esperti ed improvvisati c’è molta confusione. Serve un diversivo. Lo stesso che quei geni del ristorante in cui mi trovavo l’altra sera hanno escogitato per calmare gli animi delle persone in fila e di quelle che aspettavano il loro cibo ordinato. Geni del marketing fatto in casa e dell’autocelebrazione atta a consolidare il proprio status. C’è da imparare. Un diversivo semplicemente eccezionale, un classico che rassomiglia al neuralizzatore di “men in black”, in cui l’intimare il “disperdetevi, non c’è niente da vedere”, collima con l’avvisaglia dello sceriffo che ti lascia andare rassicurandoti sulla tua estraneità al fatto investigato ma consigliandoti di “non lasciare la contea”… Da morire dal ridere. Neve finta e inno nazionale. Identificazione unita all’osservazione di un evento fuori dal comune. Ciò che comunque incuriosisce le persone e le guida. Antropologia culturale pura. E non quella del “Fabietti”, libro che ho odiato per la assurdità del voler dimostrare tesi consolidate su colonizzazione e sfizio su popolazioni autonomamente innocue e sufficientemente indipendenti al di fuori di ogni teoria culturale. E per due volte ho discusso all’esame universitario, arrivando quasi a litigare con il professore, trovandomi così tanto dissonante del tema studiato e da ciò che per me rappresentava la materia, prima di scoprirla così approfittatrice ed opportunista. Eppure è così che funziona, al di là di ogni progressismo o conservatorietà. Sempre che si dica così. Sempre che il mio punto di vista, unitario, non offenda il ruolo così ben assodato e consolidato. La materia esiste, io pure, le idee non collimano, seppure il mio punto di vista ha seminato un masso enorme come un grosso e insormontabile ostacolo al mio laurearmi.

Oggi serve proprio un diversivo, nel marasma della confusione umana che ci affligge. Qualche cosa che distragga dalla situazione creata a favore di un percorso, qualcosa che indichi la via, qualcosa che specifichi chi siamo in relazione a ciò che siamo. Appunto Chi, relativamente a Cosa. Chi e Cosa.
Esattamente come nello smettere di chiedere i “perché” a favore del “come”, stabiliamo un processo di ricostruzione abbandonando i nostri scheletri a favore di carne e sangue. Materia metabolica per materia mentale. E tra mente e corpo spunta curiosamente lo spirito.
Corpo, mente e spirito sono ancora una volta il trino divino che esemplifica la distinzione dalla dualità umana al progresso divino. Che cosa hanno fatto l’altra sera al ristorante? Hanno reso buon viso a cattivo gioco, in una situazione in cui il ristorante, pieno, aveva un’energia abbastanza bassa nonostante gli sforzi e la qualità, con un intervento esterno di distrazione, identificazione, e coralità, che ha unificato le energie in un’unica direzione, percepibile e tangibile per chi ne ha forgia. Un esempio per tutti. Veicolare quelle energie cambiandone la direzione del vettore nel senso più utile a tutta la situazione. Cena più armonica sebbene identica, ambiente più corale e intimo, dopo lo scioglimento dello scoglio di diffidenza tipica dell’appetito disatteso. Appetito=aspettativa. Niente di più speculare in questo caso. Le nostre aspettative disattese non sono forse fonte di malessere e malumore? E quindi eliminarle non è forse la soluzione?

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