Così in ordine di tempo recente ripetevano intonatamente Currieri & Co., alias Stadio, band musicale che ha fatto la storia della musica romantica.
Ma qui forse di romantico c’è ben poco.
Considerata la tesi per cui ogni cosa che vediamo, viviamo, ci succede, e ci circonda, è una proiezione di ciò che abbiamo dentro, allora inevitabilmente c’è una parte comune per noi tutti, in tutto il mondo.
Quello che ci accomuna è lo stesso scenario. Un dipinto in cui non tutti ci rivediamo. Quello sfondo non è apparentemente deciso, il panorama è arbitrariamente subìto, il soggetto non sembreremmo noi. Eppure ci ritrae.
Invece dovrebbe essere il contrario. Ed io voglio crederlo. Questa situazione globale ha a che fare con il bisogno umano. Una necessità, un karma comune. Non è un caso, mi ritrovavo a ribadire qualche giorno fa, che abbiamo l’opportunità di vivere questo periodo, questa situazione, questa condizione, questo scenario. Determinate problematiche capitano in maniera direttamente proporzionale alle caratteristiche ed alle capacità individuali. Ma come discernere le caratteristiche globali di evoluzione di questo scenario? Nessuno leggerà questo scritto, ma nel caso remoto, considerando oggi 19 agosto 2020, data ininfluente estiva, ma determinante nel periodo pandemico o presunto tale che ha avvolto il globo, trovo difficoltà a trovare indicazioni positive sulla condizione che attraverso, e che condivido con ogni essere di questo pianeta.
Al di là delle fazioni, ufficiali, massmediatiche, complottiste, paranoiche, negazioniste, becconi, Smiths, sceriffi di quartiere, maestri di sci (nautico, perché sempre estate è), capre, impauriti, convinti, scettici…, cosa rimane?
Rimane il famoso “rimboccarsi le maniche”, anziché subire, ma non reagendo violentemente, rimane l’interiorizzazione, l’assimilazione della lezione. Avrei potuto scandire tutte le tematiche che ho già analizzato sulla fortuna, sulla presenza, ma ancora non riesco a determinare il motivo per cui succede tutto questo. E più grave errore non avrei potuto commettere. Mai chiedersi il perché. E’ un’azione mentale che frena. Frena il vivere e l’intuizione.
In questo caso fermarsi a cercare colpevoli o motivazioni non serve a nulla. Anche perché non esisterebbe una verità unica. Siamo tutti diversi, e ognuno è libero di credere a ciò che vuole, che sia religione, sport, etica, educazione, o altro. Quindi infinite opinioni, motivazioni, e diverse realtà. Realtà, non può far rima con consapevolezza. Cioè coscienza, dell’azione che si esegue, in presenza nel momento stesso. E se la sofferenza è un dono, o uno stimolo alla crescita, a seconda del punto prospettico di vista che disponiamo, ci sono sicuramente visuali diverse.
Ma ritorno sempre allo stesso punto. In quest’allevamento globale di tipo 4, in batteria ed in gabbia, alcuni polli tra le teste più calde pensano che li stiano avvelenando, ignorando il territorio al di fuori del capannone che li rinchiude, e soprattutto cosa stiano facendo lì. Dovrebbero rifiutare il cibo, scappare, o che altro? C’è forse (apparentemente) una soluzione alla loro prigionia.
In fondo c’è sempre una soluzione, vero, soltanto che non è immediatamente visibile, forse perché inizialmente coperta. Cosa ci sta coprendo gli occhi dalla soluzione, che non è detto sia la fuga? Sicuramente noi stessi copriamo il cartello con le chiare indicazioni di salvezza. Per alcuni vi è una privazione di libertà. Altri rimpiangono la situazione precedente, che priva di questo vincolo era comunque tipica di lamentele.
Sarà forse che il genere umano è esattamente soggetto di un allevamento? Che teoria! Sicuramente oltre il complottismo e verso il paranoico. L’allevamento matrixiano di corpi al servizio di qualcuno. Beh in fondo non è mica così lontano dalla realtà se si considerano i parallelismi non immediatamente visibili. Cercare questo qualcuno non ha meta.
I polli non sanno chi di preciso li mangerà. Di sicuro vivono, nella condizione in cui si trovano, e ignorano totalmente che chi li sfama li mangerà.
Già.
Buonanotte.