Quella parte di me che deve morire. Quella che mi è stata sbattuta in faccia per vedere, per vedermi, per riconoscermi, al passato sì, o probabilmente ancora presente.

Poche righe che mi sono dedicato, alla mia immagine allo specchio, esprimono profondamente ciò che dall’aldilà mi è arrivato come ammonimento, per ricordarmi che non è possibile avvelenare ulteriormente questo corpo, questa opportunità di questo immenso dono, cioè l’opportunità di ricordarci, ritrovarci, riconoscerci, in un qualcosa di unico e grande, indivisibile, e che ha un senso per noi, nell’evoluzione di questi corpi che in questa vita ci portiamo appresso, questa carne e questa materia che funge da veicolo di trasporto verso ulteriore evoluzione.

L’ammonimento è un suggerimento ed un nuovo dono, esattamente come dopo aver lasciato il portafoglio a Napoli, perso, sottratto, non importa, lascio lì quel denaro, quei simboli, quelle (carte di) identità che probabilmente non mi rispecchiano più o non mi servono ancora, devono rinnovarsi. E l’amico napoletano di fronte alla mia tranquillità si accorda nella sincronia sinfonica con un meraviglioso “ogni impedimento diventa giovamento”.
La parte che mente alimenta la malattia della divisione, che ora vedo sempre più evidente, anche nella sua tendenza a ripresentarsi, tale è l’abitudine. E’ un augurio che mi arriva da dentro, dall’anima, il messaggero dall’aldilà interviene per mostrarmi cosa c’è sotto la maschera. La paura. E l’augurio di pronta guarigione è l’unica cosa che veicolata con il cuore, porta il malato fuori dall’ospedale in cui si trova senza saperlo.

Abbiamo tutti una parte, Quella parte, Vera, che Sa, che E’, e non ha bisogno di mentire, ha la testa alta, la dignità e l’umiltà che servono per la crescita, anche attraverso il dolore. Nel corso del cammin di questa via ci si può allontanare da questa parte, a diversa distanza, non sempre raggiungibile, spesso oscillando, riavvicinandosi e allontanandosi, “dimenticandoci” del fatto che lei da sola porta l’unità verso il trino divino. Ma nell’esperienza corporea, e per molteplici motivi evolutivi il nostro peccato originale da smaltire ci fa passare dalle esperienze per cui costruiamo altre parti, che tolgono spazio ed energia a quella vera, tenendoci divisi, nella dualità, anche molteplice, che inquina, prende il sopravvento, alimentando una parte che esprime una polarità completamente al di sotto della frequenza divina, una parte malata, a cui diamo cibo ed energia, ingrandendosi come un cancro, dapprima spirituale, a volte trasformandosi in materiale.

Nell’augurarmi il meglio esprimo un concetto che è davvero il meglio a cui si possa ambire, il più bel dono che si possa ricevere, come un regalo bellissimo che da soli ci facciamo. Oggi comprendo molto di più che quell’augurio è quello che segue: L ’altra parte, quella malata, mi auguro di riuscire a farla morire, con tutto me stesso, è diventata ormai pesante al punto di fare intervenire la nonna a sottolinearlo. Oramai non serve più quella parte, è arrivato il termine delle ostilità, come si dice in termini di parafrasi, non dobbiamo più difenderci né attaccare, né mentire, per cui poi quelle esperienze ci strappano la maschera di dosso rendendoci nudi. Che io sia benedetto, e che quell’altro me possa morire come il ramo secco e malato che ora avvelena il mio grande albero. E’ questo uno specchio per ciò che intendo, il significato della debolezza che ci porta a difenderci in determinati modi, creando linee di realtà differenti dall’amore, o meglio dall’operare in e con amore, linee di realtà che curvano verso basse frequenze, quindi difficili da raddrizzare, sebbene non impossibili.
Ama entrambe quelle parti di te, ma nutrine una soltanto, quella che tu sai, quella che Sei, quella che E’.

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