Ieri, almeno credo, mi sono imbattuto in un post in cui, complice anche la mia mancanza di studi su greco e latino, scoprivo nella mia stupida stupidità come si vada ben oltre ai semplici eros, philos, e agapé che conoscevo per le definizioni radicali ed etimologiche di “amore”.
Riporto per intero tutto il suo contenuto per citarlo complessivamente.

Il greco antico ha un termine preciso per ogni sfumatura lessicale.
Ci sono ben dodici modi per definire l’amore:
Έρως,eros, è l’amore carnale
Φιλία, filía, è l’amicizia, la complicità
Αγάπη, agápe, è l’amore puro e sconfinato
Στοργή, storghé, è la tenerezza di solito riservata ai figli
Φιλαυτία, filautía, è l’amore verso se stessi
Πράγμα,  pragma è l’amore che ti porta a fare, ad agire, anche senza essere ricambiati.
Μανία, mania, è l’amore folle, quello che ti  può portare a gesti inconsulti
Χάρις, charis, amore che comprende la spiritualità
Πότος, potos, l’amore adolescenziale , quello che prima si chiamava cotta o infatuazione 
Θέλημα, thelema, l’amore, la passione non verso una persona ma verso una materia di studio
Ίμερος, hímeros, è il desiderio compulsivo o impulsivo
Αντέρως , antéros è l’amore corrisposto dove il prefisso “ant” non vuol dire contro,ma di fronte.

Poi stamattina mi è capitato di leggere una cosa, relativamente all’amore, un invito a rispondere a questa domanda: se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, con chi vorrei passarlo?
Nel mio caso la risposta è davvero inquinata e lontana, tanto quanto la sicurezza su l’assenza di depotenziamento da ego, materia, senso di colpa, illusione, identificazione, nell’oggetto del responso, sia quello istintivo che quello ponderato. Tanto quanto la condizione carente ed energeticamente povera che sto vivendo. La cosa però mi ha fatto riflettere e considerare che uno dei capisaldi di questa vita è legato alla condizione umana desiderosa o bisognosa di amare e di essere amati. Quindi nel mio caso, se effettivamente mi rendessi conto della non importanza di essere amato, rispetto all’opportunità di amare, mi domando istintivamente, faccio parte di un’altra razza, non umana?
Anche nell’estrema coerenza verso se stessi e la propria natura, la propria integrità, e con tutti i buoni propositi legati a rispetto e onestà, vi sono dualismi opposti e deleteri. Deleterio, cioè che crea danno. Ed in ogni rapporto prima o poi, sia consciamente che meno, si va a crear danno al prossimo, inevitabilmente, e vorrei pure sottolinearlo, a volte con il pieno intento di operare nel giusto. Succede quasi esclusivamente per difenderci, sebbene a posteriori si evidenzierebbe che non esiste attacco, a volte per il criterio per il quale il nostro sistema di credenze ci guida verso un “metodo”, alias come si ama, che ben sappiamo quanto cambi in relazione ad innumerevoli fattori.
C’è poi, credo, e qui intervengo volgarmente e senza ellenismi accademici vari, un tredicesimo tipo di amore che mi sovviene, per cui la gara a chi fa pipi più lontano predilige l’antagonismo tra la stima ed il disprezzo, ma anche in questo caso l’amor di ego è forse l’insieme più corposo che ci sia, e comprende, sempre a mio avviso, tanti altri tipi di amore di testa, in cui mente, calcolo, comodità, dipendenza, solitudine, bisogno o necessità sono come la torretta di ricarica per l’autovettura elettrica dell’amore costituito.

Poi mi prendo una pausa in questa giornata di pulizie, di studio, scrittura e riflessione, e mi dedico brevemente ad un videogioco molto particolare, di quelli che piacciono a me, complessi e articolati, non banali e profondi, in cui il tema dello spazio-tempo, la materia e l’antimateria sono tema assodato e comunemente utilizzato. Arrivato in una stazione orbitale che ospita una svanita civiltà, una forma di intelligenza artificiale usata come guida turistica metropolitana, mi fornisce informazioni utili a capire dove sono, le condizioni organizzative locali, e soprattutto in che epoca temporale mi trovo. Dopo aver ricevuto le informazioni per le quali era programmata, il suo saluto, emblematico, mi fa riflettere: “… e benvenuto ad Andromeda, dove la stella più luminosa sei Tu!”
Quindi tornerei di corsa alla polvere di stelle, quella sostanza di cui siamo fatti, noi tutti, ed ogni cosa in questo universo. Ognuno una singola parte del Tutto. Ognuno capace di riflettere la propria luce e la propria ombra sull’immagine che già da solo è capace di creare. Un po’ come scegliere tipo di pasta e condimento. Pur pensando di scegliere dalla semplice dispensa. Innumerevoli combinazioni di coppie. Solo così potrei capire il perché della necessità di unirsi a due a due. Perché altrimenti, senza l’esempio della minestra, oltretutto tipicità nostrana, verrebbe meno la comprensione sull’esigenza di accoppiarsi. Questo è un momento particolarmente difficile, dove inoltre sono stato capace di condire la peggior minestra con il peggior sugo. Ma giustamente o meno, mi è stato insegnato che “si mangia quello che c’è”, pena il ritrovarselo al pasto seguente. E stasera non ho nemmeno voglia di nutrirmi, di nuovo non sento lo stimolo della fame, ed il dentosofo è stato chiaro, sto lasciando morire parti di me inefficienti, sto uccidendo parti di me che non utilizzo, per la mancanza di energia nei miei canali energetici.
L’amore però è energia. Niente di più, niente di diverso, l’energia non ha nome, ne descrizione, non passa dalla mente, non vince un ragionamento. Io non porto, non veicolo la giusta quantità di amore e non lo sono. Non lo sono interiormente. Non abbastanza per quanto mi è richiesto. E non faccio davvero confronti, ognuno ha il suo ruolo ed il suo scopo, guardare fuori e dedurre è un errore fatale.
Oggi come allora direi la stessa cosa, probabilmente talmente ispirata che ad un certo punto avevo persino rimosso il ricordo di averla espressa, “devi solo decidere se vuoi amare ed essere amata”, oggi lo sottolineo. Ma basta la prima parte, è già universale. Amare, prima ancora di toccare l’energia dell’amore, ci si esercita con il cuore e senza mente, in maniera immateriale, cioè difficile, ma giustamente a noi le cose difficili piacciono. Eppure Seneca, che diceva? E qui devo ringraziare un secondo padre per avermi fatto conoscere questa massima. “Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, è perché non osiamo che sono difficili”. E le cose noi le rendiamo difficili per i depotenziamento della mente, per come noi vediamo le cose sulla base degli schemi che abbiamo. Un lavoro di disintossicazione dagli schemi che fino a ieri ci hanno permesso di arrivare qui, utili allora ma ora non più, sebbene oggi liberarsene è difficoltoso come gettare quel ricordo con il timore di far male a chi o cosa ce l’ha donato, al suo trascorso, o al pensiero rettile che la cosa per qualunque tipo di reverenziale stima porti sfortuna. Abbandonare lo schema di come si fanno le cose, vecchie e non più attuali, non solo di come si ama. Ma qui entriamo con l’ariete spalancando la porta della filosofia, eppure per Seneca lo scopo della filosofia consisteva nell’aiutare l’uomo a guardare con occhi diversi la realtà, a vivere virtuosamente e a prendere coscienza della vanità delle cose.
E, premiato, ricevo un segno nel segno. Tra l’altro si ripete, mi era già capitato. Sono a cena in un ristorante dalla qualità indiscutibile, e dalla fama arbitrariamente contesa. Il clima teso di molte comande insieme si scontrava con la tensione, la fretta e la fame, quando un cambio di frequenza ha reso musicalmente tutto il pubblico allegro e felice, una mossa con scelta di tempo eccellente, geniale. E poi la neve finta che cade copiosa, a suon di musica, il natale rende tutti più buoni, anche fuori stagione. E la situazione si ribalta, come dopo aver ricevuto un giusto schiaffo che interrompe un’isteria.
C’è da imparare anche dal Diavolo, se la necessità è quella di dividere. Mentre Dio unisce e Crea. Siamo davvero capaci?

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