Ho saltato novembre nello scrivere sebbene non sono completamente sicuro di averlo espletato correttamente nel vivere. Stamani ripensavo e ricostruivo quella primissima infanzia in cui mia mamma ed i miei nonni mi rinchiudevano. Pensando fossi al sicuro mi chiudevano in casa perché tutti lavoravano. Probabilmente i pomeriggi dopo l’asilo oppure nei giorni in cui quest’ultimo era chiuso. Ed io esploravo la casa, aprivo cassetti, guardavo le fotografie, leggevo, sperimentavo qualunque cosa per impegnare ed investire quel lungo tempo da solo. Nell’esplorazione di quegli oggetti riuscivo a farmi delle storie davvero molto particolari. Raggiungevo quel telecomando nascosto così in alto per cui sarebbe stato meglio non raggiungerlo, giacché un telecomando Loewe con cambio canali immediato ed a sfioramento aveva già vissuto l’incidente per cui grazie a me gli veniva rovesciata sopra della coca cola… Ma io ci arrivavo e sincronizzavo la visione di tutti i cartoni animati possibili, zappando tra i vari canali, a volte più bella la sigla della narrazione, e sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo. Avevo le mie preferenze, tutt’ora indelebili sfide di giustizia e controversia, lo spazio infinito, la ricerca del perché della vita, e l’equilibrio tra le parti oscure e luminose: Daltanious, I Guerrieri delle Stelle e l’Uomo Tigre. Probabilmente al tempo il doppiaggio anche nei prodotti destinati ai bambini era comunque curato e corretto al punto che grazie a quel frullato televisivo ho imparato, semplicemente ascoltando, cosa espressa nel momento in cui ho imparato a leggere e scrivere, una serie di regole grammaticali e verbali che tutt’ora mi sono utili. Mio zio abitava anche lui nella stessa casa per un certo periodo, ed era particolarmente geloso delle sue cose, cosciente di quanto ne fossi affascinato. Come ad esempio la pista di macchinine, difficile per un bambino da montare e configurare, data la strana magia con cui ogni cloche comandava una corsia, quindi una macchina da formula 1, oltre alla quantità di moto espressa dalla velocità, per cui ogni tanto in curva la macchinina se ne volava via.
Ma ancora più difficile era il montaggio e la sintonizzazione del giusto canale in maniera analogica, per la corrretta fruizione di quella che probabilmente è stata la mia prima esperienza video ludica. Quella console che attraverso quello strano pomello mi permetteva di giocare con un primordiale tennis o di sfidare la gravità con una motoretta che poteva prendere il volo saltando il giusto numero di ostacoli, come di “incristarsi” gravemente. Quella passione per il videogioco, sebbene orientato al gioco di ruolo e avventura, mi è rimasta fino a pochissimo tempo fa, momento in cui ho appreso come quello schermo rappresentasse un mondo diverso in cui evadere ancora una volta. La cosa apparentemente difficile era rimettere tutto esattamente dove stava prima che i rispettivi proprietari o responsabili rientrassero e se ne accorgessero, ma avendo imparato poi io stesso a guardare le posizioni delle virgole, non sempre la facevo franca.

E poi c’era lei, la musica, che mi faceva da padre e arrotondava la mia cultura e la mia educazione. Quel gigantesco hi-if stereo a piani di mio zio, ed io bambino che riuscivo a mettere su ed ascoltare a ripetizione quelle uniche due cassette disponibili, quei due album i cui temi ancora oggi mi sono familiari come un imprinting nella memoria e nel cuore. Quei due album, La vita è adesso di Claudio Baglioni, e Luca Carboni nel suo omonimo primo giovanissimo album. Quei temi, quelle parole, mi facevano viaggiare attraverso situazioni così lontane dalla mia, anche se adulte rispetto al mio infantile bagaglio, mi insegnavano cos’altro ci poteva essere là fuori, e quelle prose, a volte poesie, allargavano la mia visione, aprivano il mio cuore, e già sperimentavo quella tristezza, un’emozione non sbagliata come successivamente ero solito pensare, che mi ha reso anche così malinconico, diverso, capace di essere profondo, capace di vedere il bianco nel nero e viceversa. Capace di vedere il buono nel marcio, ma tuttora a tratti anche acerbo per capire che non mi serve per forza di farmene carico. Probabilmente l’indicazione virgiliana non è stata completamente recepita ne al tempo ne in seguito.
Tutte questi ricordi dovrebbero ricordarmi che ogni volta io sia stato confinato nell’impossibilità di uscire, evadere, sono comunque stato in grado di creare e scoprire cosa potevo fare in quella situazione, che si rivelasse intrattenitiva, divertente, evolutiva, istruttiva.
Leggevo o ascoltavo, non ricordo bene, tempo fa il concetto espresso da Salvatore Brizzi sul significato di cella. La prigione, galera o cella. Jail in inglese. Ebbene la cella era il luogo in cui in situazione di isolamento monacale ti veniva data la possibilità di isolarti da tutto e da tutti, rallentare il tempo per riflettere al meglio sulle azioni intercorse e quelle da intraprendere.
Oggi mi riesce più difficile trovare quegli spunti che da bambino scoprivo, ed anche se al tempo ero bloccato dall’età e dalle possibilità, sapevo però di avere ancora tanto davanti. Oggi il dubbio è diventato una certezza, non sto riuscendo ad evadere, tantomeno vedo un’evoluzione particolare, anzi intercorre un certo periodo in cui sto sempre male ed in modi legati simbolicamente all’ affrontare la vita, al sostenere le cose, materiali ed emotive, e soprattutto, tutto questo sembra anticipare un probabile conto alla rovescia. Quei momenti in cui recrimini per non aver fatto, detto, vissuto, approfittato, goduto, amato, dato, sempre secondo il giudizio per cui ti sei condannato a potere fare, essere, diventare.

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