Pensa se un giorno qualcuno ne avesse bisogno
Tu ruberesti mai tutto l’amore del mondo
Per darlo indietro a chi non ha provato mai tanto
Sarebbe come annullare d’un tratto l’inverno
Pensa se un giorno un bambino chiedesse a te il senso
Sapresti cercarlo leccandoti il dito nel vento
Come ci fosse una strada per il pentimento
Se la seguisse tu credi sarebbe contento
Senza temere quel freddo
Che ti taglia dentro
Che non è l’inverno
Senza paura che tanto
Qualsiasi paura
Per te non ha senso
Senza cercare quel posto
Che tutte le mani
Indicavan lontano
Senza paura negli occhi
Che mondo sarebbe
Se nulla è più strano
Non c’è
Un solo senso nelle cose
E niente
È uguale ad altro e tutto
Si distingue
Chiaramente
In un mare di onde
Pensa se un giorno quel giorno arrivasse davvero…
Onde, dei Negramaro, è solo una delle tante ispirazioni che mi hanno aiutato, spinto, commosso, ridimensionato, specialmente da febbraio ad oggi. Un periodo, non terminato, alquanto duro e difficile, in continua transizione.
Proprio ieri si parlava in altre parole di limiti. Il nostro limite attuale. Quello per cui in questo momento si affrontano determinate difficoltà, a volte tipiche, perlopiù ricorrenti, tipiche appunto di una parte profonda di noi. La discussione verteva sulla possibilità di guarigione interiore in “stile torta”. Cioè qualcosa che ha avuto una preparazione lunga, lenta e precisa, venga consumato in una cucchiaiata. Con un pulsante spegnere il problema. Magari? Nemmeno direi. A volte ricordo l’esame universitario, quello con il professore e la materia giusti, in cui la conversazione tra le due persone diventava un confronto sull’argomento in cui si uniscono tutti i puntini, finalmente chiarendo cose che, sebbene studiate, non erano state rese così limpide, collegabili ed evidenti.
E allora sarebbe come superare l’esame senza studiare e saltando addirittura l’esame. A volte essere bocciati ad un esame risulta altamente costruttivo per la riuscita seguente, non tanto per l’orgoglio ferito, almeno inizialmente, ma proprio per gli stessi motivi di cui sopra.
Per poi passare velocemente avanti. Ma se superando l’esame di Analisi 1(i matematici capiranno), sei pronto per Analisi 2, forse sarà il caso di studiarla bene la materia propedeutica alla seconda…
Scegli di fare la giusta fatica che serve per superare l’esame, il tuo limite. Rimboccati le maniche e studia, fai esercizio. Sbaglia, così imparerai dai tuoi errori.
Oppure cambia scuola, si può fare, magari non abbiamo sentito bene quale è la nostra passione, il nostro scopo, o compito, quel qualcosa che ognuno di noi è destinato a fare naturalmente, e soprattutto porta miglioria nel mondo circostante.
Eventualmente smettila con la scuola, nella vita come nell’interiorità si aprono scenari e nuove opportunità per poi riprendere un cammino di studio più avanti, specie se nel periodo presente succedono altre esperienze.
E poi, mi perdoneranno i professionisti, l’idraulico non capisce un tubo, è figlia di una massima emblematica: «Chi sa, fa. Chi non sa, insegna». Questo famoso detto lascia l’amaro in bocca non solo a chi l’insegnamento lo pratica da anni, ma anche a chi si accinge a diventare, col tempo, un buon maestro.
Nello specifico mi riferisco ai giusti errori di apprendimento nell’arte della propria passione, o se compatibile, la propria ambizione.
Il problema però è: voglio imparare bene la disciplina per me e me soltanto, o ambisco alla professione di maestro per avere un rapporto di controllo o superiorità sul prossimo?