Quest’anno la tournée trevigiana mi ha regalato davvero tanto. Non senza dolore. Non senza essere capace di sentirmi un idiota, specialmente nei primi giorni. Oltre venti giorni molto intensi. Al di là dei ritmi giornalieri molto frenetici e dal fuso orario quasi rovesciato, sono successe parecchie cose che mi hanno stimolato a vedere oltre. Alla visione di un oltre che era già impostata, ma non determinata. Vengo da due lutti e da forti contrasti con le persone che amo di più. Questi 17 giorni consecutivi di fiera serale e notturna mi hanno portato consiglio, nel “dare e togliere la cera”, trasposta nella polvere sedimentata sulle mura di Treviso, a temperature a tratti proibitive, e nella visione di realtà che negli scorsi anni osservavo diversamente. Mi sono ritrovato senza la mia solita spalla, quasi un parafulmine portafortuna, l’anima compagna che in questo momento non può accompagnarmi in un compito che dovevo svolgere da solo. E per diversi giorni, da solo, ho provato a fare del mio meglio, sapendo che sarei stato osservato anche da lei, che ora non c’è, insieme ad Ester, in braccio come sempre, ed alla quale debbo tanto, ed ora non potrò ricambiare se non spiritualmente. Ho avuto modo di sperimentare negli atti di gentilezza e di leadership, responsabilità paterne, fraterne, economiche ed emotive.

Il Sudamerica intero, con Josè, si avvicina al mio stand ed io lo sento come persona che aspetta me, è lì per me, e nell’arco di una serata intera lavorativa mi aiuta a confrontarmi con lui e lui con me nello specchio di una serie di messaggi capitati a fagiolo. E nella condivisione di tutta una serie di sincroniche coincidenze.
Poi quella consulenza di gruppo che, per una serie di motivi per cui mi taglierei le mani, diventa esclusivamente solo per me, e mi riserva sorprese di cui per paura, scetticismo, scaramanzia chiedo se mi stiano prendendo in giro o meno. Quel “viaggio” che la mia anima sta percorrendo nel terreno irto e ispido di prove e difficoltà che nel mio considerarle semplici rispetto ad altre, dimentico quanto io sia stato propedeuticamente preparato a scontare, trasformare e portare amore in ciò che provo modestamente a fare. Quel cammino nel sentiero della luce che fino a ieri, ma anche oggi, continuo a mettere in dubbio, per il giudizio che ho su me stesso. Quel giudizio su noi stessi che mi è stato messo di fronte, nella difficoltà di iniziare a volersi bene, ad amarsi per quello che si è, nel dubbio di una serie di metafore, simboli, ed esempi che la vita ti mette di fronte per guardarti dentro. Ed esattamente come ho visto succedere, possono avvenire come meno, veri e propri miracoli. Quel “magistero” di cui sarei responsabile e che non credevo potesse raffigurarmi. Forse per ambizione, forse per brama, paura o senso di colpa. Quello scopo di cui mi occupo senza coscienza a volte, messo continuamente in dubbio da situazioni o personaggi che ho messo lì di proposito per provare a fare meglio.
Quei meravigliosi ragazzini che ho deciso di mettere alle mie dipendenze durante la fiera. Capirai, so’ ragazzi, e giustamente tra diversa frequenza cerebrale, mancanza di esperienza, telefono, problemi da teenager e droghe leggere o meno, hanno il loro da fare e non puoi pretendere chissà che presenza lavorativa, ma sono stati in grado di regalarmi visioni di purezza e capacità, leggerezza e semplicità, tipiche di una vita e di una condizione che mi sono lasciato alle spalle, di un periodo in cui mentalmente e interiormente ero probabilmente molto peggio di loro. Doni enormi, come vederli interagire con le persone, trovarli spigliati, sapere di doverli anche controllare, come dei figli, figli che sono appunto doni, di cui essere grati, e quindi il ringraziare i genitori per la creatura che mi hanno lasciato in affidamento, o vedere la creatura commuoversi nel salutarci.

Innumerevoli altri episodi, segni, approfondimenti di conoscenza o condivisioni, tutti estremamente collegati a ciò che in questo momento mi sta capitando, o meglio, sto creando. Una bella visione, la natura di questa piccola Venezia, la sensazione di essere in una vacanza, ogni anno, di 20 giorni lontano dal mio mare, nonostante l’impegno giornaliero. Una vacanza da cui come sempre e questa volta in particolare vengo via con nostalgia, nonostante si equivalga la voglia di rientrare. Come in Profumo di Donna, in cui il colonnello dice a Charlie se lo comprende nella suddetta sensazione, anche se il suo andare è opposto al restare, in vita però. Persone che si aprono nella sincronia di ciò che in quel giorno mi succede, e che loro stesse mi mostrano, doni di amicizia ed amore pulito verso quella persona che probabilmente non vedrai più, e senti in quell’abbraccio un tuffarsi verso di te in abbandono, percepisci il loro affidarti e condivisione del loro dolore e la sensazione di alleggerimento che ne scaturisce, come il sussurro all’orecchio, di un reciproco, ti voglio bene. Esercizio di ascolto del dolore altrui, nel tentativo di osservarne insieme la duale corrispondenza positiva. Anche questa è una bellissima prospettiva che posso avere nel mio lavoro. Tentativo che quando va a segno porta energia di beneficio sia nell’osservatore che nella relativa realtà.
Innumerevoli altri segni, simboli, messaggi e metafore, e questa non è la lista della spesa, ma solo un blocco di appunti e parole, sparse, per i quali cerco di collegare i significati. Un grande foglio in cui appunti tutto ciò che, spesso complicato, non puoi esimerti dal fare, ma costellato di cuori e di amore.

Riconoscenza, sempre, anche se dovrei fare meglio e abbandonare la selettività, di cui spesso vengo messo di fronte. La fortuna che mi ha accompagnato in tutti questi giorni, i sorrisi, la cinta senese, piccoli doni ricevuti e lasciati, Il backstage, i favori, reciproci s’intende, e quel trattamento di riserbo che ho ricevuto a sorpresa grazie ad una serie di piccoli semi che avevo piantato senza sapere, dimenticandoli addirittura, ma che molte persone ricordavano, e per cui ho ricevuto sia per me che per le persone che amo altrettanti piaceri. Probabilmente dovrebbe esistere una voce del verbo integralmente designata come il “tutto torna”, che nell’energia positiva pareggia il lato opposto nella via che ti mostra la sua unica direzione. C’è infatti un’unica direzione, quella che parte dalla posizione in cui siamo, ed il vettore che mostra la strada di fronte.

L’esercizio della pazienza, della calma, e della risoluzione, lunga e lenta. Come quando arriva il momento del disallestimento. Ho imparato nel corso degli anni e delle occasioni, a provare un senso di amore per quel vero e proprio trasloco, a tempo, in condizioni a volte pessime ed estenuanti. Vedere il palazzo che pezzo per pezzo viene smontato, sistemato, riposto, immagazzinato per essere trasportato, via, verso una prossima meta. Con meticolosa pazienza appunto, sapendo già dove andrai a ricostruirlo, prosegui lentamente e un pezzo per volta affronti il problema che a prima vista sembra sempre insormontabile. E questa volta il limite è stato dettato da un’improvvisa tempesta, preannunciata da un pericoloso buio e ventoso cambiamento climatico, premonizione di un rovescio catastrofico. E nel constatare che qualcosa mi stava momentaneamente bloccando, provo a mantenere la calma sebbene correndo, mentre un tetto di legno vicino a me viene divelto da quella pericolosa folata, la stessa che strappa diversi rami, e questo alle mie spalle e a me di fronte, mi fanno sorridere nel lasciarmi illeso in quel lavoro finale, per cui il tempo ne scandisce il termine, e mi consiglia di sbrigarmi. E nel chiudere infine il portellone del mio amato furgone, può iniziare quel diluvio, anche quello penultimo dono immenso di 20 giorni filati senza mai una pioggia a rovinarne il lavoro o il poco svago.

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