Sto studiando proprio ora la metafora di ciò che, per propria natura, irreale, mi circonda. Questo avrebbe significato ogni volta che ci distanziamo dall’affidamento al piano. Quello per cui bello o brutto che sia l’evento che ci accade, ci deve riportare alla risintonizzazione al piano, che l’anima ha scelto per la propria evoluzione. E lo stesso dicasi per quello degli altri, magari a me vicini, per cui anche la mia figura, irreale, simboleggia una metafora di ciò che si ha da vedere, pena la fine dell’evoluzione. E arrivati alla mia età, di cui ringrazio l’attuale fornitura di salute e fortuna, quella fine comincia a fare spesso cucù da dietro un angolo…


Già, cucù, me lo diceva mia nonna, credo, un ricordo antico come quel gioco delle dita nella penombra a creare sulla parete curiosi animali fatti di ombra che muovevano la bocca e le orecchie… E quell’insonnia di me bambino che non voleva mai andare a letto e obbligato, mi portava a creare strani pensieri e impensabili giochi in quel letto di una stanza al buio, come stropicciarmi gli occhi fino al punto di riuscire a vedere lucine che formavano strane costellazioni in movimento, e la cosa mi portava a immaginare le stelle ed i pianeti, e vedevo me piccolino sempre di più in questo pianeta che si allontanava, fino agli altri, e poi il sistema solare, e poi quell’universo lontano che altrettanto semplicemente mi davano in pasto in quegli scolastici e miseri libri, un universo vuoto, silenzioso e disabitato, ed allora mi chiedevo se poteva davvero essere tutto lì, se lo scopo fosse così restrittivo, vista la complessità e la vastità di quel creato, e la mia domanda andava a sbattere contro qualcosa di invisibile e ostruttivo come le pareti di un acquario

La metafora di ciò che mi accade nell’irrealtà della sua conformazione è come quel gatto nero che attraversa da lontano e che riesco ad evitare, poi però sto più attento del solito a passare con il verde, quel sogno in cui sputo i denti e poi vado incontro a due lutti, il senso di colpa che karmicamente provo a sciogliere per qualcosa che oramai non posso eseguire diversamente da così. Poi avvengono tutte quelle coincidenze, tutti quelle casualità che hanno un filo conduttore talmente evidente che guardandomi intorno sorrido per non avere la possibilità di condividere quella sincronica magia con eventuali testimoni. Gli atti di gentilezza ed il loro ritorno, le brutte notizie, il dispiacere per le anime più giovani e la loro sofferenza, o meglio, la loro risposta alle odierne difficoltà, qualcosa che noi misuriamo con il termine di paragone di un’altra generazione, un mondo che è cambiato, seppur medesimo, come quell’albero gigante nella visione di quei “noi” bimbi, oggi raggiungibile con un braccio e ieri maestoso e irraggiungibile. Come un albero giovane piantato anni fa ed oggi visto crescere, passa quel tempo che misura lo spazio di ciò che siamo capaci di conteggiare. Apprezzo il fatto di essere come sono, perché nella mia metafora, tutto ciò che mi circonda non è reale, proprio perché inscenato per me, da me, tramite il percorso che devo affrontare. Alcune spine sono piantate nel fianco, altre possono pungere se striscio, come un serpente, attorno a ciò che è orticante, anche se a volte affascinante. Vedo miracoli nelle persone che incontro, quelle con cui nasce qualcosa, e da parte mia è Amore, incondizionato, del tipo gratuito e senza fregature per cui non ti aspetti niente in cambio, anzi, gli atti di riconoscenza mi infastidiscono, così come i ringraziamenti, perché io non posso fare a meno di donare, di esercitare questa essenza, o forse questo schema, ruolo o personaggio, o questa maschera, ma pur sia, al di là del giudizio che io possa avere su questi lati di me, rilevo ancora una volta come stia ancora ricevendo sorprese sincroniche da questa vita, che recentemente mi ha tirato per il collo, molto più del mio solito.

Qualcosa di cui non vale minimamente il vanto, è la capacità di trovare quel varco per il cuore delle persone, e sapere nutrirsi di, e interagire con, quell’Amore che ognuno ha, e per la cui chiave non vi è ferramenta capace di duplicarne il segno. Quel segno che rispetta il sogno, una chimera forse, speranza di ricevere amore laddove nella tua metafora, non può esistere che quello. La definizione di Anima, colei che governa ego, mente, spirito e fisico, fatta di luce, essenza di quella polvere di stelle di cui ogni cosa è fatta, compresi noi. E quella luce che cura, illumina, nutre e da la vita a tutto in questo sistema, io posso chiamarla Amore. D’altronde lo diceva persino Einstein, “la realtà è una semplice illusione, sebbene molto persistente”.

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