Già tempo fa consolidavo il concetto dell’imparare a smettere di chiedersi il perché a favore del come. Ma mi è semplice dimenticarlo ogni volta e ricordandomelo rammento anche di quanto io sia così stupido. Una determinata cosa che mi capita non può avere motivazione finché la ricerco, ma nel mentre posso solo iniziare a chiedermi come usare quella dinamica, come utilizzare quella cosa, e se la utilizzo al meglio. Un lavoro sistematico sulla gestione della rabbia. Questo è ciò che mi è “apparso” oggi, e niente di più vero, dal momento che già ieri stavo per rovesciare un tavolo o distruggerlo, sorpreso da una dinamica che si ripropone, come ogni volta che impreco, per dirla alla leggera, quando mi faccio male o incontro ostacoli o contrattempi. Ho tanta rabbia repressa che me ne rendo conto quando ho giornate più infiammabili, per cui le situazioni obbligate o contrastanti mi deconcentrano da un acerbo stato di presenza che già a fatica cerco di mantenere.
E’ vero che noi viviamo nella dualità, o meglio, viviamo di dualità. Ogni parte positiva ha uno specchio, negativo, così come ogni bontà ha riflesso di crudeltà. Nel dare o meno da mangiare alle parti di noi che amiamo di meno, ci si ritrova un cane a tre teste affamato e ringhioso richiuso dietro una porta anziché libero. Che mosso da quella fame è a volte ancora più indemoniato, rabbioso, pericoloso. Io credo oggi che sia più semplice indebolire quella cattiveria, quella rabbia, piuttosto che farla morire. Esisterà sempre e sarà sempre lì, pronta a saltare ogni volta che ci abbasseremo di livello, per fare la sua comparsa, pericolosa e feroce. Provare a far pace con quella parte è altrettanto chimera, esattamente come mettere la mano in bocca a quel cane ringhioso, convinti che a noi non morderà. Anche qui, non vi è perché ne soluzione, probabilmente perché ampiamente parte del piano. Quel piano che abbiamo scelto, creato, quello per cui nel totale affidamento mi dovrebbe essere chiaro lo scopo e la sua manifestazione. Un piano pieno di perfezione, ma fatto di magia che nella sua dualità mi spinge e stimola a ricordare chi sono. E non c’è vanto, casomai un ricordo al dovere, al ruolo, per tenere a mente che non c’è vacanza nel lavoro su di sé.
Proprio oggi ricordavo la mia ultima vacanza, di quelle tradizionali, giorni consecutivi, non come ora che mi accontento di ritagliarmi tempi nelle località in cui svolgo fiere, per qualche ora del giorno, o brevissimi giorni tra una tournée lavorativa e quella seguente. Un mese e una settimana all’isola d’Elba, e correva l’anno 2002, per cui come oggi ricordavo la mia ultima vacanza tradizionale, ogni volta in un’isola, è come lasciare sulla terraferma i propri problemi. E come per il mio viaggio preferito in Birmania, del quale non saprò mai se potrò andarci, sarò capace di portarla a me, come già riesco a fare con gli innumerevoli oggetti che tratto da ogni parte del mondo, magari mai nemmeno visitata o studiata. Proprio oggi che, parlando con persone a me lontane a livello di professione o di attitudini, coglievo in loro estremi insegnamenti ed esempi di come ogni coerenza sia affine a quella specifica esistenza. Quella per cui in questo pianeta, le dinamiche a noi più lontane, abbiano uno specifico senso di appartenenza ed un diritto alla vita, funzionali al tutto, di cui noi siamo modesti osservatori, complici ed artefici. Poi ci sono altre indicazioni, altre guide che mi arrivano, che possono o meno influenzare il cammino che sto percorrendo, che ha specifiche difficoltà, prerogative ed aspettative, dinamiche che affondano la lama nella ferita. La ferita che io stesso ho deciso di farmi, di curare, di coprire, o di risanare. Già, la ferita, la maschera, come se rimarginare un solco così profondo sia così veloce come erroneamente si possa credere, dal momento che anni, o secoli, corrispondano ad un lavoro di risanamento potenzialmente tanto duro quanto i tempi che si pensi si possa scavalcare con quel lavoro.
Matematica e calcolo, applicazione e natura. La matematica della natura è quella dei numeri irrazionali, non di quelli reali, eppure si riesce a misurare tramite fisica ed astrologia la magia di ciò che quantisticamente è in continuo cambiamento, sulla base delle nostre immense possibilità. Sono tutte guide, indicazioni, influenze, spunti, ma il volante in mano ce l’abbiamo noi, sempre, ed il vento della Luna o di Saturno influisce in maniera direttamente proporzionale sulle vele e su quanto hai salde le mani su quello strumento, che hai dentro. La carrozza, con cavalli, cocchiere e passeggero, si starà ribaltando dalle risate. Poi chissà, anche i marinai tengono le stelle come riserva di orientamento, se ci sono a qualcosa debbono sicuramente servire, ed ho detto servire anziché influenzare, ma ciò vale anche per ogni nostra dualità, nel bene e nel male. Ben venga ogni indicazione, ben venga ogni intuizione, ogni magia, ogni maleficio, che noi stessi abbiamo scelto e cercato.