Eppure…
Riflettevo anche ieri su come mi sento dentro. Non ho un’età. Ho la stessa età di quando ero più giovane, finanche più piccolo, molto più piccolo. Il vincolo anagrafico mi bloccava sul poter fare o non fare. Bella storia, oggi che amleticamente mi preoccupo dell’essere o non essere.

Avevo la percezione, anche se bambino, che io ero quello, un qualcosa che dentro non ci stava, e se ci stava sarebbe sempre stato uguale, mentre incredulo guardavo e ascoltavo del cambiamento delle età, giovani ed adulte, rispetto alla mia infantile. E la cosa si è riproposta fino a oggi, che di anni ne conto 46, ed ancora sono fiero di avere quell’indefinita età senza età.
Tra l’altro stamattina leggevo velocemente un riepilogo strettamente tecnico sulla distorsione temporale da campo gravitazionale, oggetto dell’avvincente film “Interstellar”, in cui ben si comprende il diverso scorrere del tempo, a seconda di varie componenti e fattori legati allo spazio ed alla gravità. E comunque di domande ancora me ne faccio, oggi come allora.
Oltre al più grande problema di quell’epoca, che via via si è trasformato nella richiesta, da un semplice “che ci faccio io qui”, a “io chi sono”.

In una delle ultime mie storie finite male, e del cui esito sono comunque sereno per la perfezione degli eventi seguenti, alla prima uscita insieme ho avuto la brillante idea di chiederle a bruciapelo:
– “tu chi sei veramente?”
Senza pretesa alcuna di ricevere la risposta sperata, ma anche risolutivamente parlando potevo capire che già io non avevo capito niente (ma quello anche oggi), sul chi e sul perché oggetto della risposta. Semplicemente poteva essere una sfida o un tentativo di ritrovarmi nell’altro. Quindi l’inevitabile elenco di aggettivi e costrutti descrittivi potenzialmente legati al materiale, erano più che leciti, perfetti.
In realtà la domanda cercavo di farla a me, e come sin da piccolo ho fatto, sentendo varie campane, cercavo di estrarre una mia idea, quasi a livello statistico per stimolare una mia natura inconsciamente nascosta prettamente intuitiva.
Quella domanda, anche quando a me riferita, non poteva avere che risposte propedeutiche ed intermedie, piccole pezze, prima di avere quella definitiva, che avrò sicuramente quando sarò pronto per andare.

Ed in sostanza, in attesa di concludere tra due settimane il mio percorso di studio quantistico e di evoluzione interiore, non a caso scopro che devo ripassare il tema di una tappa in cui la mia “trasparenza” di fronte all’esterno, ma anche al mio interno, è di vitale importanza.
Ogni volta in cui diciamo “io”, a chi ci riferiamo? A tutto ciò che siamo stati abituati e programmati a dire o a credere di essere? In realtà ogni risposta diversa da “io sono la mia essenza sacra”, è frutto della parte programmata, del sottoprodotto della nostra vera identità. Perdiamo di tanto in tanto coscienza che i problemi non sono nostri, ma della parte inferiore, quella che viene inscenata, cercata e creata dalla nostra vera identità, con personaggi ed eventi, utili alla nostra evoluzione. E questo succede giornalmente, tramite lezioni, esperienze, sincronie, sogni, messaggi di vario tipo. Spesso e volentieri attribuibili a colpe esterne, quando invece l’anima ce le fa trovare e ci fa incappare nelle peggiori fregature o incazzature, talvolta in maniera ricorrente, monotona, scontata, finché capendo la lezione, cioè vedendo ciò che siamo, passiamo oltre, all’esperienza successiva.

Oggi sono stato male, di nuovo quel fastidioso peso e pulsare dietro alle tempie, pressione che sale forse, sensazione o paura di ritrovarmi compresso o imprigionato in qualcosa, che probabilmente nemmeno esiste. Ma in quel momento, questa riflessione risolutiva non arriva, e dal baratro provi a risalire, nella speranza di non doverci ripassare. Ma questo chi può dirlo… se non “(d)io”, sempre che abbia voglia di parlare ancora con “me”.
Ed anziché lamentarmi, dovrei gioire per l’opportunità, perché come dice il famoso Scarasaggio, “il mondo è bello, siamo noi ad esser ciechi”!

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